
La pandemia accompagna e modifica il nostro quotidiano, ormai, da oltre un anno: l’Italia, negli scorsi giorni, ha superato i centomila morti (accertati) per Covid-19.
E ogni Paese del mondo piange cittadini scomparsi a causa di questo virus che, in pochi mesi, è riuscito a sovvertire completamente l’ordine globale dell’intero pianeta. Eppure, in questo scenario desolante protagonista ogni giorno di servizi televisivi e fotografie condivise sui social, c’è chi si è ritrovato miracolosamente immune.
Identikit genetico degli immuni al SARS-CoV-2
Naturalmente, non stiamo parlando dei fortunati che, per qualche motivo, si sono risparmiati il contagio anche in situazioni a rischio o di chi sviluppa la positività al virus in maniera totalmente o pressoché asintomatica.
Ci riferiamo, piuttosto, a quelle (poche) persone che, seppur esposte in maniera diretta e/o per tempi prolungati al nuovo Coronavirus, non solo non si ammalano, ma non vengono proprio “attaccate”.
La scienza sta provando a dare delle risposte con degli studi mirati.
La Rockfeller University di New York, infatti, si è presa l’incarico di indagare sulla questione, coordinando oltre 250 laboratori sparsi in tutto il mondo. Una risposta importante, però, è arrivata proprio dalla nostra Italia.
L’intervista a Giuseppe Novelli, genetista del policlinico Tor Vergata di Roma e presidente della Fondazione Giovanni Lorenzini di Milano
Come rivelato al Il Messaggero dal genetista Giuseppe Novelli del policlinico Tor Vergata di Roma, concentrandosi sul contesto in cui si sviluppa l’infezione e facendo statistiche riguardo a sesso e età anagrafica delle persone, si è scoperto che nel 10-12% dei malati gravi sussiste una caratteristica genetica particolare: i pazienti, in sostanza, non riescono a produrre interferone, la molecola di difesa necessaria a guidare la risposta del sistema immunitario.
Addirittura, nel 10% dei casi sono presenti auto-anticorpi contro l’interferone e nel 3,5% mutazioni genetiche capaci di influenzare la corretta produzione dell’interferone-1.
A questo punto la ricerca ha cominciato a vagliare le differenze genetiche dei soggetti resistenti al virus e, come spiegato al quotidiano da Roberto Luzzati, professore di malattie infettive dell’Università di Trieste, esisterebbe una cosiddetta immunità cellulare: studiando i linfociti, in effetti, ne è emerso che si verifica quando entra in gioco il sistema immunitario cellulare (che dura molto più a lungo degli anticorpi che possono anche scomparire, tanto che di covid-19 ci si può ammalare più volte nella vita a distanza di circa 6 mesi).
Immunità anticorpale e cellulare
In sostanza, la salvezza dal virus risiederebbe in due tipi di immunità: quella che possiamo definire cellulare, che è rarissima perché genetica, e quella anticorpale, che si ottiene superando la malattia (ed è a breve termine) o vaccinandosi.
Proprio come è successo negli scorsi giorni (in Florida, USA) alla prima bambina con anticorpi anti Covid-19 nata da una mamma vaccinata in gravidanza (tre settimane prima del parto) con una singola dose del vaccino Moderna, in quanto operatrice sanitaria.
La soluzione?
La ricerca sta andando avanti: il prossimo passo sarà quello di provare a somministrare l’interferone nelle fasi iniziali della malattia, soprattutto nei pazienti più a rischio, cercando di ridurre l’impatto del virus: si parla già di uno studio presso il San Raffaele di Milano.