“Old”: la nuova favola nera di M. Night Shyamalan è al cinema

Una tela di Van Gogh, dimenticata in qualche luogo abbandonato e ritrovata, magari per caso, da un gruppo di esploratori, non sarebbe immediatamente riconoscibile e attribuibile al pittore olandese?

Una scultura del Canova, improvvisamente spuntata fuori dalla collezione di un trafficante d’arte, non parlerebbe del suo autore con le sue forme, le sue “intenzioni” stilistiche, la sua stessa identità?

Ci sono artisti talmente impregnati nel loro tocco, nel loro modo di esprimersi, da possedere una riconoscibilità – eterna – che altri possono solo sognare. Ognuna delle loro opere è per caso uguale all’altra? No, ma è linguaggio interiore che si fa esteriore e che rispecchia una persona sola, appunto, l’autore.

Accade anche con i registi: la “mano” di Hitchcock si avverte così prepotente nei suoi film che, se domani ritrovassimo un suo corto rimasto nell’ombra per decenni, sapremmo subito orientarci.

Tutto questo per demolire quello che ho letto, fortunatamente soltanto in qualche punto del web, sul nuovo film di M. Night Shyamalan, da qualcuno etichettato semplicemente come un’accozzaglia delle sue solite costanti narrative: beh, quelle costanti narrative fanno parte della personalità stilistica – della storia interiore – del regista, ma intorno a quegli stessi elementi lui ci costruisce, ogni volta, un racconto diverso.

A questo giro, è la volta di “Old“.

“Old” e la poetica del tempo

Chi conosce il cinema di Shyamalan sa che deve aspettarsi un misto tra un fantastico (nel vero senso del termine) nero e una variopinta palette di emozioni e sentimenti umani.

Non penso mai che sto realizzando un horror – ha dichiarato il regista proprio recentemente –, il mio lavoro è dark e disturbante, ma non è horror. L’horror ha quella sorta di sensazione che è una destinazione. Questo, invece, ha lo scopo di farci uscire dall’altra parte con un sistema di credenze più forte. Ogni film che ho fatto rappresenta esattamente dove mi trovavo io, in quel momento (…) Quello che continuo a cercare di fare, mentre scrivo, è immaginare le cose peggiori e poi chiedermi se ne sopravviverei emotivamente come essere umano. Arrivato dall’altra parte, potrei dire di essere più forte grazie a quell’esperienza?“.

Ogni film ha il suo protagonista, ma in questo caso non si tratta di una persona, né di un oggetto o un animale. È qualcosa di più impalpabile; qualcosa che, di solito, avvertiamo inesorabile ma impercettibile, indefinibile: è il tempo.

La domanda che sembra farti chi è dietro l’obiettivo – proprio a te, che sei seduto sulla poltroncina del cinema a sgranocchiare popcorn – è: se la tua vita cominciasse a fluire così velocemente da finire domani, se ogni mezz’ora del tuo tempo valesse un anno di vita, cosa sarebbe davvero importante per te? E con chi decideresti di trascorrere quanto ti resta?

La trama

Qualcuno ha definito “Old” un thriller esistenziale: un gruppo di persone – normalissimi cittadini che potremmo incontrare al supermercato o far parte della nostra vita da sempre, con tutto il loro carico di problemi e quotidianità – si ritrova a condividere spazio e tempo su una spiaggetta segreta, consigliata dal management del resort dove sta spendendo le vacanze.

C’è la coppia in crisi – un classico di Shyamalan -, il medico pesantemente affetto da crisi psicotiche, la sgallettata che pensa solo all’estetica e alle foto da postare sui social, il rapper dalla storia personale misteriosa, i bambini con il loro bagaglio di emotività ed intelligenza (Shyamalan dipinge sempre ritratti di piccoletti molto più svegli di quello che gli adulti potrebbero mai pensare)… e qualcuno che li osserva dall’alto, mentre cercano di scappare da quell’angolo di paradiso che, quasi immediatamente, comincia a trasformarsi in un pezzo di inferno vero e proprio, dove la gente muore, invecchia preocemente o scompare senza apparente motivo.

Insomma, una sorta di Grande Fratello in versione apocalittica.

L’idea

“Old” è un adattamento cinematografico della graphic novel “Château de sable” (Castello di sabbia) di Pierre-Oscar Levy e Frederick Peeters, ma è impregnato della poetica nera del regista indiano ed è rivisitato a suo modo.

Proprio come Hitchcock, anche Shyamalan si ritaglia sempre una piccola parte – più di un cameo – in ogni suo film, ma questa volta il suo ruolo è più importante del solito e collima con la sua identità reale che lo vede dietro la videocamera… ma non andrò oltre per non rovinare a nessuno la sorpresa.

Quello che, però, posso dire è che l’epilogo della storia offre anche diversi livelli di lettura, di interpretazione, di riflessione, soprattutto in tempi di pandemia.

Consigli sulla filmografia di Shyamalan

Chi già conosce e apprezza il peculiare storytelling di Shyamalan si sentirà a casa guardando “Old”. Chi non si è ancora interfacciato con i vecchi lavori del regista, invece, forse potrebbe prepararsi alla visione attraverso alcuni dei suoi controversi lungometraggi migliori, da “Il sesto senso” a “The visit“, dal meraviglioso “The Village” al bistrattato “E venne il giorno” che, in questo momento storico così particolare, acquisisce significati ancora più densi e profondi.

Da evitare soltanto un paio di titoli della sua filmografia: un momento di flop nella sua storia artistica in cui si è allontanato da quello che sa fare e comunicare meglio per esplorare territori nuovi (“After Earth” e “L’ultimo dominatore dell’aria”).

Per quanto mi riguarda, a volte vorrei poter tornare indietro nel tempo per vedere, di nuovo per la prima volta, alcune di queste pellicole; perché posso definire M. Night Shyamalan sicuramente uno dei miei registi contemporanei preferiti.

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