Vino annacquato per colpa dell’Ue? Facciamo chiarezza

È passata qualche settimana, ormai, dal trambusto iniziale che ha travolto il settore del vino a causa di un comunicato stampa diffuso da Coldiretti.

Lo scorso 6 Maggio, infatti, l’azienda tuonava così, parlando di “inganno legalizzato“:

Togliere l’alcol dal vino ed aggiungere acqua è l’ultima trovata di Bruxelles per il settore enologico già sotto attacco con la proposta di introdurre etichette allarmistiche per scoraggiarne il consumo previste nella Comunicazione sul “Piano d’azione per migliorare la salute dei cittadini europei”. È quanto afferma la Coldiretti nello svelare i contenuti del documento della Presidenza del Consiglio dei Ministri Ue in cui viene affrontata la pratica della dealcolazione parziale e totale dei vini. La proposta prevede di autorizzare nell’ambito delle pratiche enologiche l’eliminazione totale o parziale dell’alcol con la possibilità di aggiungere acqua anche nei vini a denominazione di origine.

Coldiretti

La notizia è rimbalzata su tutte le testate più importanti del Paese, tra l’indignazione generale.

Ma come stanno veramente le cose?

La smentita all’AGI

L’8 Maggio, appena due giorni dopo, una smentita ufficiale era già arrivata all’AGI (Agenzia Giornalistica Italia): la precisazione è arrivata da una stessa fonte Ue che ha assicurato che “La proposta della Commissione europea non contiene alcun riferimento all’aggiunta di acqua nel vino” per mettere in commercio “vini senza alcol”.

Non è una novità che le notizie possano essere mal interpretate e, poi, rimbalzare di testata in testata ripetendo continuamente quell’errore: l’inghippo, questa volta, risiedeva nel fatto che il tema dei vini senza alcol era stato, sì, trattato nel testo, ma semplicemente poiché i prodotti alcohol-free rappresentano da tempo un’importante opportunità di mercato per il settore vitivinicolo.

Anzi, già un paio di anni fa la Commissione aveva proposto un aggiornamento mirato nel disciplinare, senza includere, però, come sottolineato dalla fonte Ue, “alcun riferimento all’aggiunta di acqua“. 

Non berremo vino annacquato

La questione è stata sviscerata anche dal celebre magazine Dissapore, e con qualche dettaglio in più.

In un articolo comparso un mesetto fa si chiarisce che, intanto, non si tratta di una proposta di legge ma di un working paper.

Con l’aiuto di Alessandra Biondi Bartolini, direttrice scientifica di Mille Vigne, la vicenda è stata definitivamente chiarita:

Il comunicato di Coldiretti è una sorta di indiscrezione, si riferisce ad un foglio di lavoro che contiene una serie di modifiche ad una proposta di regolamento. Non è il testo del regolamento insomma, quello non l’abbiamo letto, quindi diventa impossibile capire esattamente quali articoli verrebbero eventualmente modificati. Si intuisce il tema della discussione: da un lato la necessità di colmare un vuoto normativo rispetto alla denominazione di vendita (quindi la categoria merceologica) di alcuni prodotti, dall’altro consentire il reintegro del volume perso in alcol con acqua nei vini dealcolizzati. La dealcolazione è una pratica consentita dal 2009 per i vini generici nella misura massima del 20% (con un contenuto in alcol dopo dealcolazione non inferiore ai 9 gradi). La parziale dealcolazione si è resa necessaria perché, com’è ormai noto, i cambiamenti climatici hanno progressivamente portato a concentrazioni sempre più elevate di alcol. Si tratta, insomma, di uno strumento operativo, necessario a volte per arginare il problema. Le tecniche sviluppate si sono mostrate così efficienti da consentirci di ottenere anche vini con contenuti in alcol inferiori ai 9 gradi, e inferiori a 0,5 (del tutto privi di alcol, insomma). Ed è proprio rispetto alla denominazione di vendita di questi prodotti che abbiamo un vuoto normativo a livello europeo. Al momento ciascuno Stato si sta muovendo autonomamente, c’è chi li chiama “vino a basso grado alcolico” e chi “bevanda”, ad esempio. Nel nostro Paese non è possibile parlare di vino per prodotti di questo tipo. L’OIV – l’organismo intergovernativo di tipo scientifico e tecnico in materia – propone di non chiamarli vini. La questione su cui sembra stiano discutendo è legata alla designazione di vendita e si ricollega ad un aspetto non secondario – anche se non è chiaro chi dica cosa – e, cioè, se considerarli nella filiera come prodotti vinici o meno. A mio avviso lo sono.

La questione, in questo caso, è legata alla necessità di reintegrare il volume perso in alcol, verosimilmente proprio nei prodotti del tutto o quasi totalmente privi di alcol. Discussione sollevata dal comitato degli esperti dell’OIV che evidenziano come la perdita in volume si renda necessaria anche per questioni di godibilità sensoriali. Se tolgo del tutto o quasi l’alcol concentro il resto: acidi, polifenoli. Insomma, ottengo un succone. Da qui la proposta di consentire di reintegrare il volume perso con acqua.

Sembra tutti stiano escludendo l’ipotesi che ai produttori italiani non interessi regolamentare queste pratiche. Si tratta, invece, di proposte che potrebbero colmare un vuoto normativo rispetto ad una tecnica che potrebbe tornare utile anche a chi produce vini a denominazione di origine, là dove le pratiche agronomiche fatichino ad arginare il problema dei gradi zuccherini sempre più elevati.

Alessandra Biondi Bartolini, direttrice scientifica di Mille Vigne

Insomma, una non-notizia, nel senso che la questione esiste ed è reale, ma si inserisce in un ambito molto specifico e non vuole certo andare a rovinare un’eccellenza italiana – ed europea – nel mondo.

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