“Io ti salverò”: le sequenze oniriche di Dalì volute da Hitchcock

Per il ciclo dedicato a Hitchcock, ieri sera TV2000 ha mandato in onda “Io ti salverò” (Spellbound), pellicola del 1945 con protagonisti Ingrid Bergman e Gregory Peck.

Una storia intricata immersa in un’atmosfera intrisa di psicologia e psicoanalisi, dove non mancano i classici rimandi al giallo, al thriller ma anche all’ironia che hanno contribuito a scolpire la figura del regista nella storia del cinema. Non manca nemmeno il suo usuale cameo, questa volta un po’ difficile da individuare, perché la sagoma di Hitckcock si mescola a quella di un nugolo di persone all’entrata della cabina di un ascensore.

Ma quello che ha reso così speciale questo film, tanto che ne stiamo parlando anche oltre 70 anni dopo la sua uscita, è una sequenza di pochi minuti in cui il protagonista racconta un sogno. Un sogno che ha preso vita e si è materializzato grazie all’impareggiabile contributo di Dalì.

La sequenza onirica

È stato lo stesso Hitchcock a definire la trama di questo film come una “caccia all’uomo in un involucro di pseudo-psicoanalisi“.

Quello che non tutti sanno è che, dietro questa definizione, in realtà, si nascondono anche dei malumori nati sul set.

Il regista e il produttore David O. Selznick, infatti, discussero a lungo ed aspramente a causa di questa pellicola: il contratto tra Selznick e Hitchcock, in effetti, prevedeva un film che si svolgesse nell’ambito della psicoanalisi, tanto che il produttore coinvolse la sua psichiatra affinché desse spunti e consigli tecnici. Ma le cose andarono molto diversamente da questa “impronta” iniziale: la donna e Hitchcock si ritrovarono spesso a discutere e quando il regista invitò Dalì a rappresentare le scene oniriche le cose andarono di male in peggio.

Proprio per questo, larga parte di quella sequenza venne tagliata: cosa ci siamo persi? Di certo, un passaggio in cui Ingrid Bergman si trasformava in una statua della dea Diana, di cui restano soltanto alcune immagini poiché la pellicola originale è andata irrimediabilmente perduta. Ma c’era molto altro in quei 20 minuti di “sogno” (e non 3!), tra cui una scena (mai girata) in una sala da ballo arredata con pianoforti sospesi e figure immobili che fingevano di danzare.

Ma perché Hitchcock convocò proprio Dalì?

L’intenzione era quella di stupire lo spettatore, di rappresentare il mondo dei sogni in una maniera nuova, originale, fuori dai soliti schemi delle immagini nebbiose o tremolanti, ma con tratti più netti e chiari, contorni che diventavano “taglienti” come lame di coltello luccicanti sfruttando la luce e le ombre, proprio come accadeva nei quadri dell’artista spagnolo.

E il risultato è stato strabiliante, intrigante, inquietante: Dalí si lasciò ispirare da se stesso, derivando alcune immagini surrealiste da alcuni film realizzati a Parigi con Luis Buñuel.

Arte che richiama arte

La partecipazione di Dalì, comunque, non è stata l’unica nota “artistica” rientrata nella forgiatura di questo capolavoro.

Quando il film entrò in promozione in Italia, infatti, la realizzazione dei manifesti fu affidata al celebre pittore cartellonista cinematografico Anselmo Ballester, che mise a servizio di questo titolo dei lavori meravigliosi.

Premi e riconoscimenti

Inutile dire che “Io ti lascerò” si conquistò non solo il favore del pubblico e della critica, ma anche numerosi riconoscimenti e nomination, tra cui:

  • Oscar 1946Miglior colonna sonora a Miklós Rózsa;
  • New York Film Critics Circle Award 1946Miglior attrice protagonista a Ingrid Bergman.

La psicoanalisi che analizza il senso di colpa

Io ti salverò, 1945

L’intera trama si fonda su un’analisi di quel senso di colpa – a volte ingiustificato – che può opprimere chi ha subito traumi molto pesanti e impossibili da accettare, tanto da “dimenticarli” attraverso un processo di rimozione che si spinge addirittura fino all’amnesia.

Una nota di colore irresistibile del plot, comunque, è quella che ci viene regalata dal simpaticissimo dottor Alessio Brulov, per noi italiani doppiato dal grande Lauro Gazzolo (la buffissima voce di Anacleto ne “La spada nella roccia“!), che dimostra come un grande saggio, scienziato e professionista non debba per forza essere borioso, noioso e formale.

Scolpendo nella mente del protagonista – e di tutti noi – un asserto che, per restare in tema, non dovremmo mai dimenticare:

L’uomo sovente si rifiuta di sapere la verità in se stesso perché ha paura di soffrire troppo; e invece, cercando di dimenticarsene, ne soffre maggiormente.

Dr. Alessio Brulov – Spellbound – Hitchcock, 1945

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