
Il 25 Gennaio 2002 usciva nei cinema italiani un film di cui nessuno avrebbe mai potuto immaginare il – fortunatissimo – destino: “Il favoloso mondo di Amélie” che, in francese, si intitola proprio “Le Fabuleux Destin d’Amélie Poulain“.
Ancora oggi, a distanza di 19 anni, è una pellicola che divide, che polarizza: c’è chi lo adora profondamente e chi lo detesta, chi lo erge a simbolo di una generazione di sognatori e chi lo identifica come una sorta di “trauma” da cui risvegliare le ragazze troppo inclini alla sensibilità e al fantasticare.
Un progetto tutto pastelli e zuccherini in cui co-protagonista della bellissima Audrey Tatou è – ed è incredibile solo a pensarci – Mathieu Kassovitz; chi è Kassovitz? Il regista de “L’odio“, il disturbante film del 1995 con Vincent Cassel.
Un contrasto che, dall’esterno, emerge potentissimo ma che, dall’interno, non si avverte minimamente. Perché Amélie e Nino sembrano essere due personaggi dei fumetti, con le loro insicurezze, le battute stupide, le smorfie del viso e le trovate assurde – eppure, in qualche modo, nostalgicamente romantiche.
Ma cos’hanno in comune un film sull’amore e un film sull’odio?
Le cose stanno molto diversamente da quel che si potrebbe pensare…
Ai margini
I protagonisti di entrambe le pellicole francesi vivono ai margini della società. Ne “L’odio” (La Haine), Vinz, Hubert e Said sono tre amici originari della banlieue (sobborgo) di Parigi che vivono nel clima di tensione che attanaglia la periferia: una tensione quasi solida, poiché gli scontri con la polizia sono all’ordine del giorno dopo il pestaggio, da parte di un agente, di un ragazzo fermato per dei controlli e poi rimasto in fin di vita.
Una storia che parla di disagio, di ingiustizie e di nullafacenza, in cui l’unica frase che rimbomba, dall’inizio alla fine, è una sola.
Questa è la storia di un uomo che cade da un palazzo di 50 piani. Mano a mano che cadendo passa da un piano all’altro, il tizio per farsi coraggio si ripete: “Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene”. Ma il problema non è la caduta, è l’atterraggio.
Un’immagine che non si afferra del tutto fino a che non si rivela l’ultimo fotogramma del film. E si rimane senza parole.
“Il favoloso mondo di Amélie”, nonostante i colori e le intenzioni, non è tanto diverso.
La giovane Amélie è una ragazza carina, gentile, ma anche un po’ presuntuosa, forse; sicuramente diversa dalle altre. Lontana mille miglia dal “solito” e moderno approccio alla vita, trascorre le giornate tra il suo appartamento e il bar in cui lavora, spettatrice delle esistenze degli altri… e forse anche della sua. Non ci sono emozioni forti, per lei, se non quelle che riesce a provare da sola e questo finisce, ovviamente, per creare una distanza abissale con il resto del mondo: niente fidanzati, niente amicizie troppo passionali, solo un piacevole contatto con un vicino dalle “ossa di vetro” che le dà lezioni di pittura e che – come lei, ma per altri motivi – è impossibilitato a scontrarsi con la vita.
Inutile dire che tutto questo genera intorno alla ragazza un’aria di solitudine, di sfottò continui, di dissapori: c’è dell’odio anche qui, insomma, ma sotto altre spoglie. L’odio per il diverso – che a volte è derisione, a volte è indifferenza – che, anche nel nuovo millennio, non fa certo notizia. Perché è sempre più facile deridere l’altro per le sue “differenze” piuttosto che esplorare se stessi nelle proprie eccessive “conformità”.
Gli epiloghi delle due storie sono opposti, ma i messaggi che lanciano hanno moltissimi punti in comune. La riflessione di base può essere riassunta in questo passaggio della pellicola di Jean-Pierre Jeunet.
Se lei si lascia scappare questa occasione, con il tempo sarà il suo cuore che diventerà secco e fragile. Lei può scontrarsi con la vita.
Le giornate passate a bighellonare e a non produrre nulla di buono, nella vita di Vinz, hanno generato un cuore arido ed un destino altrettanto infausto; ad Amélie, forse anche grazie alle sue amicizie centellinate e valutate con estrema cura, tutto questo non è accaduto… e le è andata molto meglio.
Insomma, a guardarli bene, questi due film, sembrano quasi rappresentare due facce della stessa medaglia. Due destini che si uniscono, per dirla alla Tiromancino.