Non potendo visitare musei, parlo degli artisti.
Un artista a me caro è Bernardo Bertolucci. “Io ballo da Sola”, “Il conformista”, “The dreamers”, tutti film che mi hanno in un certo senso cresciuta.
Oggi però tratto di una pellicola – che è opera d’arte piena – che ha creato non poco scalpore quando fu pubblicata. Il maestro Bertolucci è morto il 26 Novembre. Ieri, per ricordarlo, ho rivisto “Ultimo Tango a Parigi“. Un film sia crudo che simbolico. Adoro il finale in cui loro ballano liberalmente in una pista piena di ballerini ingessati intenti a ripetere come macchinette gli stessi passi. Loro, invece, non ripetono ma inventano: sono liberi. Bella metafora di libertà che spunta tra menti inghiottite dalla squallida banalità. Un grande Bertolucci. Un finale amaro – forse per la convenzione, chissà – per Paul che, invece, spira parlando del futuro dei suoi figli (mai avuti) con dentro gli occhi una Parigi solare, ucciso dalla donna che ha amato. Maria Schneider, selvatica e sensuale, si rivela una circe dagli occhi buoni, mortifera e capricciosa. Insospettabile. Un amore vero che porta alla morte. Lei ha preferito la convenzione, uccidendo l’Amore che, per natura, non può che essere scomodo. Una tragedia che ahimè rispecchia tante piccole vite, tante piccole scelte nelle quali la convenzione predomina sull’Altrove. C’è un passo di Victor Hugo de “I miserabili” che mi porta, in questo dedalo di sentimenti opposti, forse uno spiraglio di luce: “mai sopprimere: bisogna riformare e trasformare“.
La trasformazione come creazione sacrificale, questa forse l’unica via d’uscita per non farsi mangiare dal Minotauro, per uscire dal Dedalo e vedere accendersi dentro gli occhi come lucciola – rigorosamente notturna -, “la Parigi solare”.
Nel caso del loro Amore, l’unica trasformazione ammessa e sacrificale, appunto, era la morte: gesto estremo ed eterno. Unione astrale.
Si ritroveranno, nel circolo delle vite che si ripetono come Eterno Ritorno. Destino delle “cose intense“: mai completarsi ovvero completarsi nel solo gesto estremo. No mezze vie. Non è l’impero della mediocrità che, appartiene, invero, a ciò che è convenzione. Lo stravolgimento estremo, come unico trascinamento nella dimensione del divino.
Ed è solo nella più sublime follia che si invoca Amore.
Ce lo insegna, in fondo, la mitologia stessa: Venere ha amato solo Marte, per davvero.
Chi critica questa pellicola è colpevole di aver vissuto male.