Diego Maradona, il documentario – verità di Asif Kapadia

Quanto può essere difficile e doloroso raccontare la verità?

E quanto può essere sconveniente, soprattutto quando si tratta di celebrities quasi venerate?

Devono essere sicuramente queste le domande che si è posto il regista Asif Kapadia quando ha deciso di girare un documentario sulla vita di Diego Armando Maradona: un personaggio che ha, da sempre, diviso le masse, poiché la sua natura di uomo fragile e fallibile ha sempre cozzato con la sua straordinaria abilità in campo; un’abilità che lo ha trasformato nel calciatore migliore del mondo già quando era ancora in vita, e non con quella tipica benevolenza che il pubblico, in genere, riserva soltanto ai morti.

Non era la prima volta che Kapadia si cimentava in un’impresa del genere: nel 2010, infatti, aveva diretto un documentario sulla carriera del pilota Ayrton Senna, premiato al Sundance Film Festival negli Stati Uniti.

“Diego Maradona”: la prima su Rai 3

Diego Maradona” è stato mandato in anteprima nazionale su Rai 3 lo scorso 26 Novembre, il giorno dopo la scomparsa del Pibe de Oro.

Un documentario lungo (dura ben 130 minuti) ma che tiene incollati gli spettatori allo schermo raccontando le escalation continue di splendori e miserie del calciatore argentino.

Un lavoro – realizzato grazie alle oltre cinquecento ore di materiale inedito che la famiglia di Maradona ha messo a disposizione del regista – che non ha pontificato né fatto sconti o tantomeno osannato nessuno: un coraggioso e super partes racconto della verità che in quella giornata così particolare ha fatto sorridere e, allo stesso tempo, lasciato con l’amaro in bocca.

Tutto parte dall’arrivo di Maradona, nel luglio del 1984, al Napoli: “Il calciatore più costoso del mondo alla squadra più povera del mondo“, si sente dire da un giornalista francese; d’altro canto, si trattava di una squadra che non aveva mai vinto uno scudetto, sino a quel momento.

Una squadra che rappresentava, oltretutto, una città appena uscita dal terremoto e preda, in quegli anni, della forte presenza sul territorio della camorra, che riusciva a “contaminare” il quotidiano delle persone comuni e ad inserirsi subdolamente in qualunque ambito della realtà napoletana (e non solo).

Maradona arrivò nel momento in cui, sugli spalti degli stadi, imperavano striscioni offensivi, violenti e mortificanti con le indimenticabili scritte: “Vesuvio, lavali col fuoco”, “Lavatevi”, “Terroni”.

In un’intervista di molti anni dopo, il calciatore rivelerà di essersi sentito a disagio: gli sembrava di essere piombato in una città talmente bistrattata da apparire quasi come non italiana o non europea. Ed è per questo che i sette anni successivi al suo arrivo, fatti di trionfi, feste ed anche eccessi, hanno acquisito un significato importantissimo.

Non sono mai stata un’appassionata di calcio, ma bisogna riconoscere che si tratta di puro entertainment, di show, esattamente come uno spettacolo televisivo: il calcio per l’Italia è come il football americano per gli USA e parlare della storia di questi Paesi scollegandoli da questo tassello fondamentale non solo sarebbe impossibile, ma anche sbagliato. Se l’obiettivo è raccontare e comprendere la verità.

In questo scenario così complesso, non è difficile capire perché Maradona sia diventato quasi un dio per i napoletani: attraverso di lui, la squadra, il popolo, la città intera hanno potuto riscattarsi; e riprendere a sognare.

Il documentario fa anche un salto all’indietro, raccontando la vita del piccolo Diego, nato in una famiglia poverissima di Villa Fiorito (quartiere di Buenos Aires) con in testa soltanto una cosa: il pallone. E sono state proprio le abilità di quello scugnizzo argentino a rendere realtà una nuova casa, una dimensione di vita più dignitosa, un riscatto sociale per quella famiglia numerosa. Si intuisce sin da subito, quindi, quale legame potentissimo unisse il calciatore alla città di Napoli; e perché, nonostante i suoi chiaroscuri, sia stato accolto e adorato quasi come un re.

Perché Maradona sarà anche stato il calciatore più forte di tutti i tempi, ma quando lasciava il campo e tornava a casa era Diego, un uomo pieno di difetti, di fragilità, persino di autolesionismo: non è un mistero che sia caduto nel tunnel della droga, pregiudicando totalmente tutta la sua esistenza, e che abbia tradito la fidanzata, poi moglie, con tantissime donne, tra cui la madre di uno dei suoi figli che ha potuto vivere la gioia del riconoscimento da parte del padre soltanto da adulto (e non è stato il solo).

Diego Armando Maradona e il figlio Jr

Non è un mistero nemmeno che Diego si sia intrattenuto – nell’ambito di qualche evento mondano – con personaggi di spicco della camorra di quel tempo (il clan dei Giuliano) che, probabilmente, hanno voluto ingraziarsi quella celebrità diventata così importante, irrinunciabile, fondamentale per le dinamiche della città degli anni ’80.

E che dire della voglia di Maradona di lasciare Napoli e di tornare a casa, dopo il primo scudetto?
L’ex presidente Ferlaino, nel documentario, si definisce come il suo carceriere: fu lui a vietargli di andar via – memorabile l’acquisto della Ferrari nera per farlo sentire “coccolato” -, e le cose funzionarono, almeno per un altro po’. Perché quando il calciatore si ritrovò a giocare nella sua nazionale contro quella italiana e chiese ai suoi fan di tifare Argentina, tutto cominciò a cambiare. Persino i test antidoping, che fino ad allora erano sempre andati miracolosamente lisci come l’olio, gli si ritorsero – per la prima volta – contro; e, con la sospensione, arrivò anche l’addio a Napoli, alla squadra (che non aveva mai “tradito” e a cui fu fedele, come promesso, fino alla fine) e alla sua bella casa di Posillipo.

Maradona tornò in Argentina per cominciare un nuovo percorso e una nuova vita che, però, non avrebbe mai più ricalcato i successi e le incredibili meraviglie della sua lunga avventura con il Napoli. Qualcuno sarebbe pronto a giurare che fosse quella connessione ad essere magica.

Il film prosegue con una serie di ospitate di Maradona ad importanti talk show italiani – tra cui quello di Fazio – e con tantissime altre chicche che guardano al presente, al passato e alla storia di Diego.

Chiaroscuri

Ritrovarsi davanti all’ambiguità di un calciatore di talento straordinario che è anche un essere umano incredibilmente fallace e, in qualche caso, quasi ripugnante per le menzogne che si ritrova a proferire in pubblico (vengono ricordate le interviste in cui nega di aver avuto un figlio con un’altra donna) è veramente difficile, com’è sempre difficile in questi casi accettare una doppia valenza così evidente. Eppure, ogni giorno ci confrontiamo con queste situazioni: il grande regista Roman Polański ha un passato di pedofilia, il mitico Charlie Chaplin fu un vero e proprio aguzzino con le donne e lo stesso Totò pare abbia portato una sua amante al suicidio…

D’altro canto, i napoletani non hanno mai portato rancore a quello che -com’è proprio della loro cultura, in cui sacro e profano si mescolano in un modo molto particolare – ancora oggi viene “venerato” dalle nuove generazioni, a cui genitori e nonni raccontano “le gesta” di Maradona, con l’ausilio delle nuove tecnologie che ci permettono di ammirare la storia in maniera diretta, magari attraverso un video caricato su YouTube.

Il documentario è pienamente esauriente nel suo ruolo: non santifica, non celebra, non offende. Semplicemente, racconta in maniera emozionante ed emozionale tutto ciò che Maradona è stato per se stesso, per i napoletani e per il mondo.

Nel bene e nel male.

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