La festa della donna, nel Veneto di oggi e di ieri

L’8 marzo è la festa della donna, ovvero la Giornata internazionale dei diritti della donna. E’ la festa delle donne di tutto il mondo, per ricordare le loro battaglie e le loro conquiste.

Per ricordare ancora una volta che vanno rispettate. E non devono e non possono più essere vittime di violenza.

Oggi la festa della donna la vivo così. Ricordando le donne della nostra infanzia. Le donne del nostro Veneto.

Festa donna

La donna di una volta

Le donne sono mamme, nonne, sorelle, amiche, colleghe.

Le donne di oggi le conosciamo tutti.

Le donne di una volta dobbiamo un po’ immaginarle o farcele raccontare.

Le donne di una volta vivevano in case fin troppo modeste, se non povere.

Si alzavano col sole a ravvivare le braci del camino per mettere l’acqua del pentolone a bollire pian piano.

Preparavano una scodella di latte e pane secco o polenta per il marito, prima che se ne partisse per i campi.

Il marito, per loro, era importante. Per quanto fosse burbero, se lo sarebbero tenuto accanto finché la vita l’avrebbe permesso.

Dopo aver sistemato la casa, lo raggiungevano nei campi. Facevano quello che il loro fisico permetteva. Sole, vento, pioggia. I campi andavano curati sempre.

Dopo i campi, anche gli animali di casa volevano la loro parte. Quindi sgranellavano le pannocchie per dare un po’ di chicchi alle galline per rendere più prelibate le loro uova. Il fieno migliore alla mucca per dare più gusto al latte.

Quante volte ho visto mia nonna versare il latte appena munto in un barattolo alto e ampio, col coperchio ben avvitato. Poi la nonna si sedeva sulla sua seggiolina. Avvolgeva il barattolo in un canovaccio e iniziava a batterlo sulle cosce. Batti, batti, batti. Era un lavoro lungo e faticoso, per le braccia e per le gambe. Alla fine il latte non c’era più. Era diventato burro, il butiro. Morbido, giallo. E prezioso, da consumare con parsimonia.

Festa donna

Le donne erano madri. I bambini rappresentavano la ricchezza della famiglia e la discendenza della stessa.

I bambini non erano vestiti alla moda, spesso con pantaloni di quinta mano, con le toppe o i buchi. Il vestito buono era solo per la festa, e che lusso averne uno.

Giocavano nei cortili o nelle piazzette di paese, con i sassi o a campanile. Avere un pallone li faceva sentire calciatori di serie A.

Se combinavano qualche marachella, ci pensava la mamma a dare la giusta punizione. Se il ginocchio si sbucciava, la mamma calmava il dolore con un bacio e una carezza.

Una volta alla settimana si faceva il bagno nella mastea, una larga tinozza riempita con l’acqua presa alla fonte con i secchi in più andirivieni.

Poi le donne facevano il bucato. Con la lissia, la cenere, insieme all’acqua calda, lavavano i panni della famiglia dentro un mastello. Tante volte andavano a risciacquarli nell’acqua corrente dei fiumi o nei lavatoi di paese.

Nelle sere d’inverno, quando il freddo era tanto e, se non c’era neve c’era la nebbia a coprire tutto, ci si ritirava nella stalla. Riscaldati dal calore degli animali, i vecchi raccontavano le storie ai bambini. Storie del loro passato, dei loro genitori. Le tradizioni che andavano tramandate di padre in figlio.

Le nostre donne hanno sopportato tanti disagi, miserie, povertà, fatiche, disgrazie. Ma ci hanno reso forti e capaci di farci sentire al mondo.

Portiamo avanti il loro insegnamento con le donne che verranno domani, con la loro stessa forza e il loro coraggio.

Auguri a tutte le donne!

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